Il 14 agosto, a causa di un infarto, intorno alle 18 se ne è andato.
Che si conosca qualcuno con il proprio nome è abbastanza frequente, qualcuno con il proprio nome e cognome è sensibilmente più raro; io ho (avevo) due omonimi perfetti: uno ha un ristorante a vienna -- e un giorno mi presenterò a farmi offrire una fetta di sacher -- l'altro era il fratello di mio papà.
Un tipo troppo forte (
troppo forte era una delle sue espressioni tipiche).
Zio Adriano (ma in famiglia lui era semplicemente Adriano, poi c'è mio cugino Adriano, che però ha un diverso cognome e in ogni caso veniva chiamato Adriano grande, io sono l'ultimo arrivato e per anni mi sono portato appresso il nome di Adriano piccolo, mentre adesso sono passato al patronimico: adriano di Sivio o Adriano il figlio di Silvio) è stato un degno membro della mia famiglia. Dovete sapere che ho una famiglia bellissima, piena di storie meravigliose o terribili e che iniziano quasi tutte all'inizio del secolo scorso, quando un milite ignoto -- ma è solo una versione dei fatti -- sedusse e abbandonò la bisnonna della quale prendiamo il cognome. Suo figlio, nonno Mario (si chiamava, in realtà, Giuseppe, ma sosteneva che Giuseppe fosse il nome di un cornuto e si faceva chiamare Mario) era un girovago senza radici e senza zavorre (tanto che quando nonna Andreina a trentotto anni morì i figli finirono prima in collegio e poi sotto la tutela di zii oppure delle sorelle maggiori -- la cosa è un po' complicata, mi perdonerete se non la svelo qui per intero), a sapeva raccontare storie davvero belle. Per anni mi prese per il naso raccontandomi di aver fatto l'amore con Giuseppina, la moglie di Garibaldi, senza che questi lo venisse a sapere (io ero piccolo, che ne sapevo delle date?)(del nonno, ti fidi).
I sette figli -- Angela, Anna, Emilia, Pinuccia, Adriano, Silvio e Daniela -- ebbero storie diverse e affascinanti, anche se non sempre divertenti (ma quasi qualsiasi cosa racconti la zia Emilia vi farebbe ridere) e spesso difficili.
Lo zio Adriano, con un ruolo marginale, ha partecipato alla lotta armata e ha pagato, si è costruito una famiglia, ha fatto collezione di dettagli e particolari della sua esperienza e letture dei sistemi: dal quadro politico generale -- che metteva a confronto anche con quel nipote suo omonimo un po' troppo saputello --, all'evoluzione delle galere negli anni, a una versione alternativa e non lusinghiera della storia della nostra famiglia, ai rapporti di potere nei piccoli paesi che attraversava per lavoro.
Le ultime volte che ci siamo visti, a matrimoni di parenti o feste familiari di altra natura, finiva sempre che ci si appartava e mi raccontava le cose dei suoi viaggi (portava farmaci per il piemonte) che lo avevano colpito o divertito, oppure delle idee che aveva per dei romanzi, quasi sempre utopie futuristiche che viene naturale associare a quelli che hanno lottato per un mondo migliore. Era bello stare ad ascoltarlo: come ha detto la cugina Silvia al funerale, era in uno stato di perenne ispirazione.
Ho un ricordo speciale di lui: la
fiaba che scrissi su suo suggerimento, dieci anni fa. È una cosa nostra.
Se lo zio stesse bene, adesso, nella sua casa da ristrutturare con zia Mara e Sergio e i loro cani indisciplinati e Silvia e Giovanni, non vedreste questo racconto; è uno di quei testi che si scrivono quando si è troppo giovani per scrivere davvero (vent'anni, figurarsi), ma non voglio rimettervi mano perché lo priverei della sua originalità rispetto al momento in cui fu scritto, e ho bisogno di liberarlo per far vivere ancora un poco Adriano Allora.
Ciao zio, ti volevo bene.