venerdì 22 agosto 2008

zio Adriano

Il 14 agosto, a causa di un infarto, intorno alle 18 se ne è andato.

Che si conosca qualcuno con il proprio nome è abbastanza frequente, qualcuno con il proprio nome e cognome è sensibilmente più raro; io ho (avevo) due omonimi perfetti: uno ha un ristorante a vienna -- e un giorno mi presenterò a farmi offrire una fetta di sacher -- l'altro era il fratello di mio papà.
Un tipo troppo forte (troppo forte era una delle sue espressioni tipiche).

Zio Adriano (ma in famiglia lui era semplicemente Adriano, poi c'è mio cugino Adriano, che però ha un diverso cognome e in ogni caso veniva chiamato Adriano grande, io sono l'ultimo arrivato e per anni mi sono portato appresso il nome di Adriano piccolo, mentre adesso sono passato al patronimico: adriano di Sivio o Adriano il figlio di Silvio) è stato un degno membro della mia famiglia. Dovete sapere che ho una famiglia bellissima, piena di storie meravigliose o terribili e che iniziano quasi tutte all'inizio del secolo scorso, quando un milite ignoto -- ma è solo una versione dei fatti -- sedusse e abbandonò la bisnonna della quale prendiamo il cognome. Suo figlio, nonno Mario (si chiamava, in realtà, Giuseppe, ma sosteneva che Giuseppe fosse il nome di un cornuto e si faceva chiamare Mario) era un girovago senza radici e senza zavorre (tanto che quando nonna Andreina a trentotto anni morì i figli finirono prima in collegio e poi sotto la tutela di zii oppure delle sorelle maggiori -- la cosa è un po' complicata, mi perdonerete se non la svelo qui per intero), a sapeva raccontare storie davvero belle. Per anni mi prese per il naso raccontandomi di aver fatto l'amore con Giuseppina, la moglie di Garibaldi, senza che questi lo venisse a sapere (io ero piccolo, che ne sapevo delle date?)(del nonno, ti fidi).
I sette figli -- Angela, Anna, Emilia, Pinuccia, Adriano, Silvio e Daniela -- ebbero storie diverse e affascinanti, anche se non sempre divertenti (ma quasi qualsiasi cosa racconti la zia Emilia vi farebbe ridere) e spesso difficili.

Lo zio Adriano, con un ruolo marginale, ha partecipato alla lotta armata e ha pagato, si è costruito una famiglia, ha fatto collezione di dettagli e particolari della sua esperienza e letture dei sistemi: dal quadro politico generale -- che metteva a confronto anche con quel nipote suo omonimo un po' troppo saputello --, all'evoluzione delle galere negli anni, a una versione alternativa e non lusinghiera della storia della nostra famiglia, ai rapporti di potere nei piccoli paesi che attraversava per lavoro.
Le ultime volte che ci siamo visti, a matrimoni di parenti o feste familiari di altra natura, finiva sempre che ci si appartava e mi raccontava le cose dei suoi viaggi (portava farmaci per il piemonte) che lo avevano colpito o divertito, oppure delle idee che aveva per dei romanzi, quasi sempre utopie futuristiche che viene naturale associare a quelli che hanno lottato per un mondo migliore. Era bello stare ad ascoltarlo: come ha detto la cugina Silvia al funerale, era in uno stato di perenne ispirazione.

Ho un ricordo speciale di lui: la fiaba che scrissi su suo suggerimento, dieci anni fa. È una cosa nostra.

Se lo zio stesse bene, adesso, nella sua casa da ristrutturare con zia Mara e Sergio e i loro cani indisciplinati e Silvia e Giovanni, non vedreste questo racconto; è uno di quei testi che si scrivono quando si è troppo giovani per scrivere davvero (vent'anni, figurarsi), ma non voglio rimettervi mano perché lo priverei della sua originalità rispetto al momento in cui fu scritto, e ho bisogno di liberarlo per far vivere ancora un poco Adriano Allora.

Ciao zio, ti volevo bene.

1 commento:

Riki ha detto...

Ciao ciao zio Adriano!